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Original text "Exilul" written in RO by Anna Kalimar,
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Published in edition #1 2017-2019

L’esilio

Translated from RO to IT by Maria Alampi
Written in RO by Anna Kalimar

Il letto era come una nave che solcava le onde della notte. Loro due abbracciati, sembravano condividere la sostanza di un'onda scura, ogni tanto attraversata da un raggio di luce. La nave galleggiava lentamente piena di mistero, e tutt’intorno il paesaggio sembrava un'estensione infinita delle acque, senza che però fosse spaventosa. Si erano ritrovati da poco tempo.

Ogni tanto giocavano a tennis. A volte, dopo la partita prendevano una birra. Questo tipo di amicizie brevi era tipico degli impiegati solitari che erano stati trasferiti in quella città. Di solito preferivano trasferirci gli i celibi. Tuttavia, la cosa curiosa era che questi raramente arrivavano a fidanzarsi. Stringevano amicizie fantomatiche, con quel sentimento di sconforto che si prova pensando che, in fondo, ti saresti risvegliato dal sonno molto presto. Pochi erano coloro che resistevano in quel posto più di un anno – due. Era una piccola città moderna che offriva quel genere di vita tranquilla che molti bramano ma che, tuttavia, gli impiegati della compagnia detestavano. Come risposta a questa repulsione, anche la gente del posto detestava gli impiegati. Perciò, questi ultimi arrivavano a sviluppare una certa angoscia da nobili in esilio. Il mondo accogliente e bene organizzato era un tritatutto per i loro spiriti fragili e ultra-urbani. La gente del posto gli lava i vestiti, li serviva a tavola, gli sistemava gli appartamenti, e gli impiegati guardavano dalle ampie finestre del loro grattacielo e sospiravano guardando in lontananza le nuvole pesanti, da tempesta. Le loro mani accarezzavano i tasti del computer e le unità centrali emanavano un rumore blando sotto la luce bianca dei neon. I giovani nobili esiliati sorridevano regolarmente in ascensore e annuivano con aria seria alle riunioni.
Un giorno come tanti altri, ma forse d’estate, alcuni nobili che non si conoscevano tanto bene si incontrarono al campo da tennis. Riuscirono a fare qualche conversazione prudente, sostenuta dai sorrisetti insicuri di tutti loro, alla fine avevano formato tre squadre di doppio ed hanno iniziato a giocare a rotazione. Loro due erano finiti nella stessa squadra visto che entrambi avevano gli occhi azzurri. Giocavano tutti mediocremente, però assai energici, e davano proprio l’impressione di stare bene. In seguito, erano usciti per una cena prima del tempo e avevano mangiato frutti di mare e patate fritte, dopodiché erano tornati a casa ad annaffiare le piante e a dar da mangiare ai pesci, gli unici animali da compagnia ammessi negli appartamenti della società.
Si erano incontrati ancora varie volte, con gli stessi o con altri nuovi, e avevano sempre giocato al doppio. Un giorno si erano presentati solo loro due al campo e avevano giocato 1 a 1. Lasciando da parte i commenti sulla situazione, avevano iniziato ad incontrarsi sempre più spesso per giocare separatamente dagli altri. Oltre al tennis, uscivano insieme a cena o al bar, andavano alla sala giochi o a fare la spesa. Svolgevano solitari queste attività, ma in modo naturale, con una solitudine condivisa. Alla fin fine, erano esiliati. I loro sorrisi un po’ confusi e le loro camicie bianche gli sarebbero rimasti in mente e tutto il resto sarebbe stato cancellato. In qualche mese, ciascuno sarebbe tornato nella propria grande città da cui era venuto prima.
Succedeva una certa cosa a coloro che venivano trasferiti e poi tornavano a casa. Quella mentalità da esiliato sembrava avvolgerli come una membrana trasparente dalla quale era difficile sbarazzarsi. Il sentimento di inadeguatezza si smaltiva molto lentamente, il riappropriarsi della propria “casa” poteva essere lungo e doloroso, e per alcuni, irrealizzabile. Ciò nonostante, a volte col passare degli anni, riuscivano nuovamente a ridere di tutto cuore, ad essere presenti e socievoli, ed iniziavano a desiderare amicizie a lungo termine. In genere, tutto ciò iniziava con il pagamento del mutuo e finiva con la nascita di due bambini, uno dei quali adottato e di un altro colore, un cane grande e un pianoforte che decorava il salotto.
Per lui, la vita era stata la somma delle serate spese con sua moglie giocando ad hockey, stando con la figlia adottiva per la quale aveva preso il congedo o con la figlia legittima per la quale ne aveva preso la madre, una macchina verde come una raganella, qualche promozione, uno spettacolo di teatro che l’aveva fatto piangere dopo molto tempo, il Natale ogni 2 anni insieme all’estesa famiglia, qualche malattia, un grosso cane chiamato Ali, le sedute fotografiche con le bambine con buffi costumi che per un po’ di tempo lo avevano reso celebre online. E la lampada ereditata dai suoi nonni.
Per lei, la vita era stata l’avere tremila persone sotto il suo comando, avere il fuoco nel camino acceso dalla governante, la morte di sua sorella maggiore, il club di lettura ogni fine settimana, i bei giovani pagati per farle compagnia, le sigarette, il mal di testa, quel quadro incredibilmente caro che non ha comprato all’asta e che ha sempre rimpianto, i viaggi, i paesi sconosciuti e lontani, il ticchettio dell’orologio da parete, l’incidente. E la lampada ereditata dai suoi nonni.
Alla fine il sentimento dell’esilio era svanito quasi completamente, lasciandosi dietro un vago ricordo di una gioventù possibile. Nessuno di loro ha continuato a giocare a tennis. Nel frattempo, nuove città e nuove compagnie si stavano costruendo, e la loro azienda, come un mammifero erbivoro pesante, stava per essere sconfitta divorata dai predatori. Nel nuovo mondo, non erano necessari così tanti esiliati e l'arte dell'essere esiliato e di tornare a casa andò perduta. Nessuno di loro era preoccupato per questa cosa. Avevano passato l’età di mezzo e i loro posti di lavoro erano ormai garantiti. Il grande mastodonte poteva pure crollare – fintato che fosse caduto a terra, loro sarebbero stati ormai dentro da tanto tempo.
Era nell’autunno nel quale lei avrebbe compiuto 52 anni, precisamente un giorno prima del suo compleanno. Era stata dalla parrucchiera per tingere e aggiustare i capelli, e dalla finestra ricoperta da adesivi promozionali, lui vide il suo viso inquadrato da strisce di alluminio. Era stato semplice riconoscerla, nonostante la sua espressione mutata e gli anni impressi sul suo viso. Si era fermato per un momento e aveva osservato attraverso la finestra. 
Era giunto qualche giorno prima per fare visita alla sua figlia maggiore, stabilitasi per lavoro in questa nuova città dopo aver terminato gli studi universitari. Mentre lei era al lavoro, lui camminava per le strade e visitava tutto ciò che era gratuito, non perché non avesse soldi, ma per comodità – non c’erano così tanti posti, quindi non era necessario che si tormentasse con le scelte. Teneva in mano un bicchiere di caffè ormai freddo e mentre il vento soffiava il cuore gli si era fermato per un istante e tutti i ricordi della sua gioventù lo avevano travolto come un fiume che distrugge una diga instabile e prima di annegare, era entrato nel salone e l'aveva guardata attraverso lo specchio che le stava di fronte. Lei, a sua volta, lo aveva guardato nitidamente e rigorosamente e poi aveva sorriso incerta, come non sorrideva ormai da molto tempo.
“Aspettami che non dura tanto.”
Lui si era messo a sedere buono sul divano e aveva aperto una vecchia rivista di moda. Le onde si infrangevano sulle sul molo del suo cuore e le silhouettes colorate danzavano solo e soltanto per lui. Allora aveva percepito nel modo più intenso quella sensazione del ritorno a casa, la sensazione che l’esilio fosse veramente finito.
Quando lei terminò, i suoi boccoli color cioccolato brillavano, corti fino alle spalle. Si era vestita col suo abito scozzese, lui aveva preso il bicchiere di caffè freddo ed erano usciti per strada. Loro due erano nobili esiliati e nessuno più era come loro, pensava lei. Allora avvertì l’esilio più profondamente che mai, ed ebbe l’impressione che tutti gli altri fossero sfumature di grigio, mentre loro erano colori vivaci, commuoventi, stampe ad acquarello.
Avevano passeggiato per il parco, ammirando le foglie di acero, si erano scambiati castagne e poi ognuno se ne era andato per il suo lavoro. Senza fare nulla di proposito, quello fu più o meno il momento in cui ebbe inizio la loro seconda gioventù.
L’anno seguente, lui rinunciò al lavoro, acquistò una macchina fotografica di seconda mano e cominciò a viaggiare per il paese, presentando le sue storie su un blog. Ogni tanto lavorava un po’ per finanziare le sue escursioni, ma in generale aveva adottato uno stile minimalista che prima non lo caratterizzava. Lui e la moglie iniziarono ad avere una relazione aperta.
L’anno dopo, lei si sposò per la prima volta, si trasferì in una casa con giardino ed iniziò le pratiche per adottare un adolescente.  Quando la mattina si svegliava, guardava il pino fuori dalla finestra e poi il viso giovane di suo marito e si diceva di poter resistere ancora per un altro giorno. Aveva promesso di rinunciare alla funzione di assistente amministrativo CEO non appena si sarebbe conclusa l’adozione.
Fu il loro periodo più florido. Gli anni passavano energici e provocanti, mentre loro costruivano un secondo castello, un castello delle vacanze, oltre a quello principale che rappresentava la loro vita adulta. Il castello delle vacanze era più colorato, più rilassante e più piccolo del primo, ma ci avevano riversato dentro la loro passione folle, d'altronde chi non sarebbe stato contento di potersi permettere una seconda abitazione? E alla fin fine, anche le famiglie reali amano di più le residenze piccole rispetto ai grandi palazzi ufficiali.
I loro castelli si ergevano imponenti in riva al mare ma erano, come tutti i castelli costruiti dagli uomini nelle loro vite, troppo vicini alla costa. La gente non sapeva come costruirli diversamente, erano incapaci di superare la zona di sabbia umida. La sabbia umida è malleabile ed è incantevole costruirci con essa, ma comunque le onde arrivano fino al castello, altrimenti la sabbia non sarebbe umida. Pure i loro castelli delle vacanze stavano per crollare, lasciandosi alle spalle i colori e le speranze con cui erano stati costruiti. 
Si sono incontrati in mensa, all’ora del pranzo, si erano fissati l’un l’altro al di sopra dei vassoi di verdure passate di tipo biologico e i loro occhiazzurri hanno avuto un fremito, hanno trasalito come la superficie di un lago quando vi cade una pietra. Si erano seduti in silenzio alla stessa tavola e gli erano tornati alla mente il grattacielo della compagnia e il colore delle sedie dell’ufficio. Lui le ricordava gialle, lei rosse. Intorno a loro, i vecchi ricordavano molti altri colori sbagliati, ma almeno chiacchieravano vivamente, provando a dimenticare il dolore delle malattie e l’inferno causato dai piccoli rimorsi. Avveno iniziato a giocare a tavola reale e a scacchi ogni pomeriggio, le serate le passavano guardando un telefilm alla televisione. Come sempre, parlavano poco. Avevano incontrato ciascuno la famiglia dell’altro, che veniva in visita, e si erano tenuti per mano senza toccarsi quando avevano avvertito che la gioia forzata dei bambini li rendeva tristi. Sapevano che l’onda sarebbe arrivata e, sapevano ancor di più che l’onda sarebbe stata dolorosa e avevano paura che coloro che sarebbero rimasti indietro avrebbero iniziato a raccogliere i cocci dei loro castelli, anziché costruirne di propri.
“Ah è la lampada dei nonni,” dissero guardando da lontano la prua del letto. La nave aveva rallentato e scivolava lentamente verso la lampada, e quando furono vicini, tirarono insieme il filo e l’accesero.
Quanto è bella la luce!

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