View Colofon
Original text "Platvis" written in NL by Nikki Dekker,
Other translations
Proofread

Maria Gaia Belli

Published in edition #2 2019-2023

Pesce piatto

Translated from NL to IT by Olga Amagliani
Written in NL by Nikki Dekker

Galleggio con il viso sott’acqua e resto calma. Non devo attirare l’attenzione, non devo sprecare energia. Basta stare ferma, così. Respirare piano, molto piano. Pluf! Salendo, le bollicine mi solleticano le guance.

All’ultimo momento il mio corpo sarà scosso da un fremito, la pancia si contrarrà per costringere la bocca ad aprirsi e a quel punto, con calma e decisione, tirerò la testa fuori dall’acqua e prenderò una bella boccata d’aria.

«Settantadue secondi!» griderà qualcuno.

Questa è un’abilità che nella vita non ti porta da nessuna parte. Al massimo ti avvicina a te stessa.


Sto sul fondo della piscina e guardo in su, verso la gente che nuota senza fare caso a me. Passo la punta delle dita sulle fughe ruvide delle piastrelle.

Quando l’ho saputo? L’ho sempre saputo, e ancora non lo so. Nella mia memoria succede tutto insieme. Mi vedo come una collezione di polaroid, una accanto all’altra su un frigorifero. I secondi in cui è stato premuto l’otturatore riassumono l’intera storia in un paio di immagini: lì c’è lei in braccio a me, lì ci sono io che cammino nell’atrio, lì sono a lato della pista da ballo mentre una vecchia amica di scuola mi racconta che è lesbica, e io dico: «Anche io un po’, credo».

Sono sempre stata brava a trattenere il respiro.

&

La porta sul retro è aperta e di tanto in tanto entra una brezza leggera. Sono seduta sulla sedia da ufficio ipermoderna che ha appena comprato mio padre, al computer ipermoderno che abbiamo da un anno: una pallina bianca con sopra un gambo che sorregge un grosso schermo. La scrivania è talmente larga che posso appoggiare comodamente le gambe incrociate sul piano del tavolo, accanto al computer. A parte una scatola di fiammiferi, è sgombra. I miei polpacci, lucidi di sudore, scivolano uno sull’altro.

È il 2003.

«Non c’è, non c’è vita per me

Accendo i fiammiferi uno a uno, osservo ogni fiammella salire verso la punta delle dita, e poi la spengo con un soffio.

Aspetto una soluzione per un problema che non sapevo di avere.

«Senza risposte ai miei perché adesso cosa mi resta di te.»

Non ho neanche quindici anni e sono già nostalgica; ascolto una canzone in italiano, che non capisco, e mi vedo bambina, sul sedile posteriore della Volkswagen: la testa appoggiata contro il finestrino, i pali della luce striano il cielo. La batteria e il coro di sottofondo sono tremendamente sicuri di sé.

Ecco come trascorro l’estate: metto su i CD di mio padre e gioco a un giochino online gratuito, in cui devo far esplodere delle palle colorate sparandoci contro altre palle dello stesso colore. Non è un gioco che si può vincere o perdere. Va avanti e basta. Ogni esplosione dà un piccolo brivido di adrenalina. Sparo ancora una volta. Canticchio al ritmo della canzone. Prendo un altro fiammifero. Apro la finestra di MSN, dove appaiono e scompaiono i nomi dei miei amici, circondati da disegnini di rose e arcobaleni. Non c’è non c’è. Jitske è offline. Thijmen è online. Anne è online.

«Ti sei baciata con Lisanne? Sul serio?»

«No» digito io.

«Lei dice di sì.»

&

Un pesce piatto riesce a imitare con precisione il colore dell’ambiente che lo circonda nel giro di qualche minuto. Gli occhi, posti entrambi sul lato superiore del corpo schiacciato, si guardano in giro attoniti, e il cervello invia segnali alle cellule del colore, che in base a tali informazioni si riempiono o si svuotano di pigmento. Se non sta nuotando, è quasi impossibile vedere un pesce piatto sul fondo del mare a occhio nudo. Diventa visibile solo quando si muove.

&

Scegliamo una famiglia, costruiamo una casa e diamo alla sorella maggiore una piscina in giardino. Ci scivola dentro, e quando i suoi seni da Barbie nel bikini striminzito toccano l’acqua e lei inizia a nuotare a rana, noi mettiamo in pausa il gioco e togliamo la scaletta. Osservo la bambolina con le mani in aria, grandi punti esclamativi sopra la testa, furiosa, impaurita, tra poco finalmente immobile.

The Sims è un’abbreviazione di The Simulated. I finti, le persone artificiali. Non sono veri. Un’intera generazione è cresciuta torturando e ammazzando degli alter ego. Ci sono forum in cui si discutono i metodi più inventivi e diffusi. Attacchiamo briga, diamo fuoco alla casa, prendiamo ventitré cani e chiudiamo il papà in camera da letto, come esercizio per la vita adulta. Ci siamo quasi. Stiamo diventando persone. O almeno facciamo finta, in modo estremamente convincente.

&

Un foglietto accartocciato sullo zerbino: non siamo più amiche. Le ragazze parlano tra loro di quello che hanno detto le altre. Alle elementari andavamo già di casa in casa, infilando nella buca delle lettere dei bigliettini con scritto a chi stava antipatico chi. A volte ci vai anche tu, a volte sei tu a scrivere quelle cattiverie. L’amicizia è una collana che certe mattine puoi indossare e altri giorni lasci nell’armadio.

Anne dice: «Le ho chiesto quante persone aveva baciato, e lei ha detto tre: Jordy, Bas e te».

O magari quello viene dopo. Magari sono semplicemente al computer, dalle casse esce l’insulsa musica da ascensore dei Sims. Sto arredando una casa per Tony, che porta una collana d’oro ed è timido. Gli metto un flipper in cucina.

Mio fratello più piccolo torna a casa. Il suo borsone da calcio sa di fili d’erba strappati, deodorante per adolescenti e sudore stantio. Lo appoggia vicino a me.

«I ragazzi della squadra dicono che sei lesbica».

Lo guardo corrugando la fronte.

«Che cavolate» dico.

&

Alla nascita, un pesce piatto è come un pesce qualsiasi: un corpo ovale con due pinne e una coda, la bocca sulla parte anteriore della testa, un occhio su ciascun lato. Quando entra nella pubertà, gli occhi cambiano posizione. Mentre le ossa si spostano per renderlo più piatto, l’occhio sinistro si muove verso il lato destro. In un paio di giorni la pelle cambia colore: il lato di sotto è bianco, il lato di sopra è color sabbia, granulare, per mimetizzarsi alla perfezione nell’ambiente. Giace sul fondo del mare, irriconoscibile sulla sabbia. Gli occhi sono due sassolini neri che adesso vedono tutto in modo diverso.

&

Compongo una fila con i fiammiferi mettendo le capocchie annerite verso l’alto e verso il basso, alternate. Dondolo i piedi sul tavolo e tamburello con le dita sul legno per non dover battere sulla tastiera.

«Cosa avrei dovuto fare?»

Avresti potuto corrugare la fronte. Fare appello al tuo diritto alla privacy. Avresti potuto inventarti qualcun altro. Chiudere la chat e dire che Internet era saltato. Sarebbero potuti entrare i tuoi genitori. Avresti potuto fare i compiti. Rifiutarti di rispondere. Avresti potuto dire “due”. Fare violenza a quella parte di te, zittirla, tapparti la bocca con la forza. Con un pugno. No, avresti potuto dire: non sta succedendo davvero. No, avresti potuto dire a te stessa: tu non esisti. Avresti potuto tenere la bocca chiusa e sorridere.

&

La BBC ha ricostruito un salotto in un acquario marino: mattonelle bianche e nere, carta da parati a strisce e una chaise longue cosparsa di puntini. Rappresenta una sfida per le seppie: maestre della mimetizzazione in grado di cambiare non solo colore ma anche struttura. La seppia allunga le gobbe o pinne quando l’ambiente lo richiede e assume l’aspetto di un mazzetto di alghe, un pezzo di corallo, un fondale sabbioso o una roccia con sopra degli anemoni.

La seppia si distende per terra, diventa bianca e nera e prova diverse fantasie: un tappeto zebrato, o un triangolo bianco sul dorso. Continua a cercare e vede che il posto dove si mimetizza più facilmente è la chaise longue. Il suo lato superiore si trasforma in un motivo a fiorellini.

Non si tratta di un esercizio innocente: la seppia si adatta per poter colpire. Scivola invisibile sul fondale marino e soffia sulla sabbia. Cattura gli animaletti spaventati con uno dei suoi veloci tentacoli e li fa sparire nel muso a forma di becco.

&

Mentre percorro il grande atrio, con in spalla lo zaino blu Kipling pieno, mi vengono incontro uno dopo l’altro: se è vero, se ho davvero, che hanno sentito dire, se forse io – e li zittisco tutti. Racconto quello che è successo: che lei ha cominciato a baciarmi, dal nulla, e ha tentato addirittura di farmi un ditalino, mentre era proprio l’ultima cosa che avrei voluto. Che non l’avevo detto a nessuno perché non volevo che la prendessero in giro, ma adesso ero costretta a mettere un po’ di cose in chiaro. L’unica lesbica in quella scuola era lei. Io non avevo mai chiesto di fare niente.

Non è che io sia popolare, ma ho più amici di Lisanne, e prima dell’inizio della pausa pranzo tutti sanno la storia. Prendo un KitKat Chunky dal distributore, butto i miei panini nel cestino dell’immondizia e racconto tutto ancora una volta. Finché il mio pubblico è interessato, io metto in scena il monologo.

«Non voglio sembrare stronza» dico. «Per me non c’è proprio niente di male a essere lesbica, e non è nemmeno un problema se lei ci ha provato con me. Ma che vada a raccontarlo in giro come se fosse stato reciproco... non è vero, tutto qui».

&

La vergogna è più grande e insidiosa di quello che mi aspettavo. Non si esprime con occhi bassi e guance rosse o un balbettio, ma con formulazioni precipitose — «mi dispiace se hai l’impressione che» — e con l’intreccio di storie che tiene insieme. Mi vergogno per quello che è successo con Lisanne, e mi vergogno per quello che ho fatto a Lisanne, e mi vergogno perché lei me l’ha lasciato fare, e mi vergogno per quello che sono diventata, e per come ho fatto diventare Lisanne.

Sei mesi dopo viene a scuola con dei cerotti ai polsi. Sussurri, fruscii di colli che si girano di colpo nelle giacche a vento, e poi le risate quando qualcuno la blocca nel corridoio, stacca il cerotto e tutti vedono che sotto non c’è niente. Pelle bianca e intatta.

E io che mi ricordo ancora quanto era morbida contro la mia pancia.

&

Ogni ricordo è ambientato nel grande atrio della mia scuola superiore, un edificio che non esiste più. Mi sogno quell’atrio. Le piastrelle giallo verdastro sulle pareti. Non devo fare test, non ci sono materie che devo avere studiato. Sono fuori posto. Perché sono qui, allora? Fisso l’orario e non so dove devo andare. L’atrio è di pietra, ogni suono si lascia dietro un’eco. Le piastrelle, gli attaccapanni, il punto in cui confluiscono quattro corridoi, in modo che da ogni direzione possa arrivare uno spettatore, qualcuno che passando mi guardi e dica: è stata la prima ragazza che hai baciato e l’hai fatta passare per una bugiarda.

Ripenso al passato e mi vedo scompormi in tante goccioline che si sollevano e cominciano a girare l’una intorno all’altra, e io mi muovo nella memoria, sul linoleum verde del pavimento della palestra, dove sono già tracciati i contorni dei campi da calcio, pallacanestro, pallavolo, badminton e hockey, ma le linee dentro le quali devono entrare i ragazzi rimangono invisibili. Sento il bruciore delle sbucciature che ci procuriamo giocando a palla avvelenata, e comincio a ruotare così veloce che divento magnetica, proprio come la Terra, attiro verso di me tutta la storia e il mondo si tira indietro – questo non ti riguarda, è al di fuori di te – ma tutto scomparirà nella mia bocca che continua a ripetere la stessa frase: «Per me non c’è proprio niente di male a essere lesbica», sollevo le braccia e apro un varco nel mare e guardo: ecco il pesce piatto, che lotta per respirare.

More by Olga Amagliani

Non voglio essere un cane

Eliminare le pene d’amore, digito. Adesso deve finire. Vedo storie di persone, ma io non voglio storie, voglio soluzioni, non compassione. Trasformazione, digito. Secondo Google, la trasformazione è presente nella matematica e nella genetica. Scelgo la seconda, prendendo così la mia prima decisione. Sono stanca di questo corpo che è già stato baciato da troppe persone, che forse è stato rovinato, l’ho trattato senza scrupoli, con troppa leggerezza, deve sparire, cambiare, e in meglio. Trasformazione genetica. Sullo schermo lampeggia «dieta depurativa». Trasformati in una nuova versione di te. ...
Translated from NL to IT by Olga Amagliani
Written in NL by Alma Mathijsen

A casa

Il mulino, il sentiero che porta al fiume, il pozzo, i cavalli, le mucche e il grano. I secchi crepati colmi di pomodori rosso sangue, i barattoli da conserva ben chiusi con le verdure messe sottaceto per l’inverno. Lo stretto corso d’acqua del Severski Don, che cuce i campi uno all’altro, stringe la Russia all’Ucraina, tiene insieme la cartina come fa il mio bisnonno Nikolaj con le giacche che impuntisce con ago e filo. Il vento nelle vele del mulino, le ragazze del komsomol sulla piazza centrale del paese. Ballano. Si prendono a braccetto, si tengono in equilibrio l’una con l’altra inclinan...
Translated from NL to IT by Olga Amagliani
Written in NL by Lisa Weeda

Preparare un corpo

Ci sono mondi interi sotto la nostra pelle. Almeno, se posso fidarmi delle illustrazioni. A volte non ne sono sicura. Mi afferro la clavicola, che sporge all’infuori se sollevo le spalle. Lo faccio spesso. La clavicola è un osso forte, ma sottile. Potrei romperla. Magari non a mani nude, ma se ci sbatto contro qualcosa di pesante, quella scultura di pietra massiccia per esempio, si rompe di sicuro. Non serve molto per finire male. Basta mandare qualcosa di traverso una sola volta ed è fatta. Dove sono finiti i pezzi che si infilano nel buco sbagliato? Oltre alle tonsille che mi penzolano in f...
Translated from NL to IT by Olga Amagliani
Written in NL by Nikki Dekker

L'evoluzione di un dente

Ancora 47 notti L’igienista mi toglie il raschietto dalla bocca. «Vedi?» chiede, quasi orgoglioso. Sul raschietto c’è uno strato di saliva grigiastra. «Questo viene dalla tasca». Una strana parola per un buco tra la mia gengiva e l’ultimo molare. Una tasca dà l'idea di qualcosa di grande, qualcosa in cui puoi tenere le chiavi, magari anche del gel disinfettante o un telefono. Nella mia tasca ci sono solo dei resti di cibo triturato, vecchi di qualche mese. Poco dopo arriva anche il dentista e indica la mia mascella sullo schermo del computer. Il dente del giudizio in basso a destra si è...
Translated from NL to IT by Olga Amagliani
Written in NL by Alma Mathijsen

Calcare

Insomma, ci vuole un po’ di tempo perché si formi del calcare su un soffione della doccia come questo. Adesso che me ne sto appeso per metà nel corridoio e metà sulle scale, con il tubo della doccia avvolto attorno al collo, penso: se i miei amici avessero visto il bagno, avrebbero capito. Se fossero saliti tutti di sopra anche solo una volta, come Emma quel pomeriggio, avrebbero visto il soffione della doccia, avrebbero aperto e chiuso il rubinetto, avrebbero notato la parete di vetro della doccia sporca di calcare, i miei peli della barba rasati frettolosamente e abbandonati nel lavandino, e...
Translated from NL to IT by Olga Amagliani
Written in NL by Lisa Weeda
More in IT

La trilogia del sesso errante

Davanti alla porta della signora Nicoleta c’era tanta gente venuta ad accompagnare il signor Titi nel suo ultimo viaggio, signor Titi che, anche se alzava spesso il gomito, era un brav’uomo, uomo di buona compagnia, grande disgrazia per sua moglie, gente giovane, non sai mai cosa ti riserva il Signore, ma guarda ha avuto cura di lui la moglie, tutto il giorno con la pezza umida sulla sua fronte, e l’ha portato da tutti dottori, e guarda ora, con che orgoglio lo accompagna, vedessi il legno della bara, acero mi pare, e per tre giorni ha avuto donne in casa che l’aiutassero col pranzo funebre, e...
Translated from RO to IT by Andreaa David
Written in RO by Cristina Vremes

24

17 22 dicembre 2014, Diario de Vida     La natura spettrale di Plaza de España consisteva nel suo rispecchiare la magnificenza di una civiltà precedente, che nell’epoca moderna non aveva più senso.  Che se ne fa la forza colonizzatrice di una piazza così importante, pomposamente suddivisa nelle province spagnole, pensata per celebrare tempi passati? Le carrozze giravano attorno alla fontana, offrendo ai turisti di giocare alla nobiltà per pochi soldi. Bene, almeno qui non ci sono segway. Un cavallo sfruttò la distrazione del cocchiere, si liberò dal giogo e corse al galoppo verso la propria ...
Translated from SR to IT by Sara Latorre
Written in SR by Marija Pavlović

Comunione

– Sarà qui?  – Sul bigliettino c’è scritto questo indirizzo, ti dice niente? – Questo me lo ricordavo come uno spiazzo. Sarebbe più facile se sa pessimo il nome del ristorante.   – Te l’ha dato quando ti ha telefonato.  – Deve essere qui. Ci sono parecchie macchine, – risposi mettendo  la freccia, deciso a parcheggiare.  – Chiama tua sorella e ci togliamo ogni dubbio.  – Non l’ho conservato perché pensavo che non saremmo venuti.  Non conosco nemmeno la bambina.  – Sono stati gentili a invitarci. Può essere un buon momento per te  per... insomma…  – Lo so, lo so, – tagliai corto, non ero in ven...
Translated from ES to IT by Valeria Parlato
Written in ES by Roberto Osa

Albero mostro bambino albero

Ancora non sappiamo come Óscar riuscì a mangiare il seme, né siamo riu sciti a scoprire dove l’avesse preso. Abbiamo ancora meno risposte in grado  di spiegarci come poté l’albero crescergli dentro, il seme germinare senza  impedimenti, disse il dottore, nella bocca dello stomaco, irrigato solo dai  succhi biliari del bambino. E a sette anni, ci disse sempre il dottore, gli sto maci funzionano così bene. Il corpo del nostro Óscar ‒ allora era ancora il  nostro Óscar ‒ permise all’albero di crescere, alle radici di estendersi attra verso gli intestini e al tronco di stirarsi sottile, cerimonios...
Translated from ES to IT by Valeria Parlato
Written in ES by Mariana Torres

I panda di Ueno

Da quando erano nati i bambini, o forse da quando mi ero iscritta ai social network, o ancora da quando il lavoro mi costringeva a comunicare in modo chiaro e ammiccante, a fare insomma riferimento a cose note, invece che a inventarle, dividevo il mio tempo in tempo vero, cioè quello che potevo raccontarmi nella mia lingua vera, e tempo falso, ovvero quello in cui dovevo parlare per categorie, dentro registri o per emulazione di atteggiamenti. Leggevo nei romanzi di uomini tenaci e volitivi che si alzavano alle quattro del mattino, prendevano docce fredde, e alle sei stavano già attraversando...
Written in IT by Arianna Giorgia Bonazzi

Dizionario del Detenuto

1 Il Dizionario del Detenuto racchiude le voci e le storie di uomini reclusi presso il carcere di Torino, Casa Circondariale Lorusso e Cutugno, V sezione del padiglione C, destinata ai “detenuti protetti”. Nasce da un laboratorio di scrittura condotto all’interno e protrattosi per due anni. Tutti noi sappiamo che cosa vogliono dire “casa”, “inverno”, “amore”, e il loro significato è assoluto. Ma in carcere il significato delle parole cambia, e questo cambiamento nasce dallo spazio: dentro esiste solo il dentro, e le parole diventano preistoriche. Vuol dire che è come se fossero ferme a un t...
Written in IT by Sara Micello