View Colofon
- "Sónia levanta a mão" translated to PT by Cristina Visan,
- "Sonia podnosi rękę" translated to PL by Olga Bartosiewicz-Nikolaev,
- "Fotelj" translated to SL by Lara Potočnik,
- "Sonia levanta la mano" translated to ES by Luciana Moisa,
- "Sonja podiže ruku" translated to SR by Simona Popov,
- "Sonia steekt haar hand op" translated to NL by Charlotte van Rooden,
- "Sonia se hlásí" translated to CZ by Tereza Prymak,
Maria Gaia Belli
Domani
La gente da queste parti è molto diffidente. Comunque dubita che in altri posti l’accoglierebbero a braccia aperte. La gente dalla sua parte. Quelli dell’altra fazione. Attorno a lei, non conosce coppie delle generazioni passate in cui i due siano amici e non nemici, anche se poi stanno insieme per sempre. Forse da qualche parte ce ne sono, che sono amici tutta la vita e anche dopo, ma pochi, estremamente fortunati e ben nascosti alla vista del resto, così che se ti guardi attorno, tu, che sei giovane, sei quasi certo che la persona al tuo fianco arriverà un giorno a mangiarti l’anima. Poi, se i due si separano e dietro di loro rimangono dei figli e si rifanno una vita, saranno ancora più nemici, e i nuovi partner non possono, ma proprio non possono, pensa Sonia, non detestare queste reminiscenze delle vite precedenti, i figli.
Eppure, nonostante tutto, eccola salire le scale di un palazzo sordido, comunista, fino al terzo piano, dove si ferma alcuni secondi, più che per riprendere fiato dopo lo sforzo, per trovare il coraggio di suonare alla porta. Ha in spalla una borsa di tela e dentro la borsa una confezione di caffè presa al supermercato, che sa già di non poter offrire, perché non è stata attenta e ha preso le capsule per la macchinetta invece del caffè macinato. Si è preoccupata del pacchetto, che fosse bello e particolare, si era preoccupata anche del prezzo, che non fosse troppo economico, e invece finirà con l’infilzare le capsule con un coltello e recuperare il caffè al loro interno, per prepararselo a casa del nonno. È venuta, quindi, a mani vuote.
La quarta moglie di suo padre sembra una vedova uscita dalle bibliografie scolastiche.
Sonia se l’aspettava diversa. Più elegante, più dignitosa, più impomatata.
La donna, Anișoara, è ancora vestita a lutto e sembra consumata da una sofferenza sincera.
La invita dentro e si siedono entrambe sul divano del soggiorno.
Ha accolto Sonia per cortesia, aveva detto un “sì” a mezza voce quando la madrina l’aveva contattata, ma è chiaro che ora non ha abbastanza forze per nessun tipo di dialogo e aspetta piuttosto che sia Sonia a dirle cosa vuole e perché è lì.
Non le offre nulla.
Sonia ha l’impulso di esprimere tutto a parole. È importante per lei poter articolare i propri sentimenti. Ma quando esprimi a parole cose che non sono fatte per essere ordinate o cose per cui la lingua non ha risorse, rischi di portare tutto nella direzione sbagliata. A volte sembra più grave di quello che è. Altre solo ridicolo. Altre ancora, esce qualcosa di diverso da ciò che avevi in mente, e allora ti spaventi o ti perdi per strada.
Sonia è venuta a casa del padre per vedere come ha vissuto. Vedere com’è casa sua, com’è lo spazio in cui si svegliava e in cui tornava per trovare rifugio. Ora però non ha idea di come assemblare il tutto in una risposta al “perché sei qui?”
Vuole conoscere l’odore di quella casa così come voleva conoscere l’odore del CNSAS, quando ancora era troppo ingenua e credeva che al CNSAS entri di persona nell’archivio e ti ritrovi sommerso da tonnellate di fascicoli. Quando ancora le sembrava facilissimo scoprire qualsiasi cosa. Farti un’opinione riguardo a qualsiasi cosa. Prima di scoprire che al CNSAS devi dire esattamente perché sei lì e cosa cerchi, devi firmare tantissimi fogli e poi aspettare mesi interi l’arrivo di una macchina che ti porti i documenti dall’archivio. Che devi chiedere il permesso di fare fotocopie. Giurare che i dati di carattere personale che ti vengono svelati saranno utilizzati solo e soltanto per lo scopo dichiarato.
Ha cercato quel sentimento claustrofobico e soffocante e ha sperato che ne potesse fuoriuscire qualcosa. Uno stato d’animo.
L’appartamento del padre è quasi vuoto. C’è solo lo stretto necessario.
Mettendo insieme le informazioni ricevute dalla madre e, soprattutto, dalla madrina, Sonia sa che suo padre, a un certo punto dopo l’89, è arrivato a lavorare in Comune. O meglio, “faceva il traffichino” in Comune. Ora ha scoperto anche che è passato da un partito a un altro un paio di volte e che in un altro momento è stato il responsabile del mercato cittadino nella piccola località di provincia. La sua immagine, mutevole nella mente di Sonia, subiva ora nuove modifiche. Perché ha cambiato partito? Era davvero così opportunista? Adesso, la vista di quell’appartamento modesto aumenta stranamente il suo disappunto. Si aspettava benessere. Opulenza, addirittura. Se no, perché compromettersi in un mondo libero, se con libero, si potrebbe intendere “non come prima”?
Ha provato a immaginarsi i discorsi tra lei e suo padre prima delle elezioni. È stata la prima volta che ha fatto un esercizio di questo tipo, di conversazione con suo padre, e subito ha pensato a cosa avrebbero avuto da dirsi in quel periodo fragile di campagne elettorali, quando tanti figli litigano con i propri genitori. Quando in tante famiglie, sopra tante persone crescono spine d’odio, come se fossero esseri delle tenebre, in questi tempi bizzarri che trasfigurano alcuni in una specie di licantropi. Avrebbero potuto discutere in modo civile sulle opzioni di ognuno?
Da quando è cresciuta, è stata quasi sempre certa che l’esistenza del padre nella sua vita avrebbe cambiato il suo modo di essere, l’avrebbe resa più forte, più resistente a intemperie di ogni sorta, come se la semplice presenza di un uomo in casa facesse aleggiare una specie di testosterone a cui anche le donne possano attingere a volontà, quando hanno la necessità di essere taglienti. Sua madre non ha saputo renderla forte, al contrario, le ha addossato le sue stesse paure e vulnerabilità, l’ha cresciuta con la mentalità della donna sola e braccata. Sonia ha l’impressione che la sola cosa utile con cui si è equipaggiata per affrontare la vita è sapere sempre dove nascondersi quando deve piangere.
Ma ciò che fino ad allora credeva sarebbe stato, senza dubbio, un fattore di stabilità, una specie di ancora, il padre appunto, d’un tratto le sembra che sarebbe potuto essere estremamente destabilizzante. Forse le avrebbe portate ancora più alla deriva. Forse la madre ha agito nel modo giusto. Non solo a separarsi da lui, ma a fare il possibile per tenerlo lontano. L’unica certezza è che Sonia non saprà mai come sarebbe stata la sua vita con lui e la cosa migliore che può fare ora è affidarsi alla madre. Darle ora tutta la fiducia che le aveva negato negli anni della maturità perché, insoddisfatta di se stessa e alla ricerca di colpevoli contro cui ribellarsi, aveva trovato la madre, l’unica persona che conosceva.
Con o senza di lui, probabilmente ora lei sarebbe stata esattamente la stessa, ugualmente esposta e insicura, incapace di essere tagliente quando la situazione stessa ti chiede di essere tagliente, incapace perfino di un atto di rivolta maggiore del rompere il tuo vaso preferito. In fin dei conti, ha letto di alcuni studi su gemelli che, separati alla nascita e adottati da famiglie diverse, arrivano a condurre una vita incredibilmente simile. A fare la stessa università o a divorziare entrambi tre volte.
Dopo un po’, poiché se ne sta in silenzio con le mani sulle ginocchia irrigidite, Anișoara apre la conversazione.
«L’ho detto anche a Claudia quando è stata qui, più di una volta. Nel testamento mi ha lasciato solo quest’appartamento. Anch’io l’avrei lasciato a lui se la situazione fosse stata inversa, così abbiamo firmato i documenti. Non so cosa si è immaginata Claudia, quell’atto è inattaccabile.»
Sonia non dice nulla. Non è venuta per accusare questa donna di essersi presa la casa. Dovrebbe fermarla e spiegarglielo.
«L’ha amata?», chiede di rimando.
«C’è anche il mio lavoro qui, prima di tutto perché l’ho sopportato», dice Anișoara, e gli occhi le si velano di lacrime, o così sembra.
«Mi scusi se la domanda è troppo invadente… Ero curiosa… mi chiedo se fosse capace di affetto».
«Forse ha amato le altre. Quando era più giovane… Forse ha amato tua madre…»
Tutte le donne, mogli e figlie, hanno l’impressione che le altre abbiano ricevuto più amore da lui, perché hanno rifiutato l’idea che lui fosse davvero così insensibile.
Alla fine, la verità è questa. Alcune persone sono insensibili.
«Posso guardare tra le sue cose?», chiede Sonia.
«Perché?»
«Sono curiosa… per questo sono qui, stia tranquilla. Voglio solo farmi un’idea.»
«Perché sei venuta ora? Perché non l’hai cercato quando era ancora in vita?»